Franz Ficara exibition in MilanNon gli ho mai domandato il perché di quel nome così secco e tedesco, così diametralmente lontano dal suo essere mediterraneo, caldo di indole e temperamento. Ma che importa? Un nome determina identità riconoscibile, è codice prima d’esser motivazione. E per Franz pittore, firma e personalità stanno lì nel colore denso, nella palpitazione emotiva: nella sensualità di una tela forte. Nemmeno gli ho domandato mai se corrispondano al vero voci dell’ambiente artistico che lo dipingono indomito negli anni ruggenti, che lo ritraggono come incontenibile alfiere di libertà e goliardia. Ma le voci, si sa, cavalcano sempre due staffe di realtà ed eccesso. E poi, non importa: una conoscenza si scolpisce poco a poco, per me come per tutti, come una scultura nel marmo, scavando, scalpellando persino con la dolcezza della pazienza. Conoscere è intuire più che apprendere, leggere oltre le righe della corazza più che ascoltare leggende. E le storie poi, come le critiche, le presentazioni, o i formalismi necessari ad una società formale, costituiscono un alone, un tessuto di tulle che arreda, adorna ma non potrà reggere il peso della realtà. È il quadro la verità di un pittore. La più intensa, la più radicata all’essere profondo: l’unica, forse, rispettata sempre senza contaminazione di bugìa. E non è carta da visita: è tutto. Antologia, autobiografia, espressione d’animo religiosa o pagana, bestemmia o preghiera. Necessità di dialogo e disponibilità. Sino all’iperbole, fede nell’interlocutore. Che dialoghi, che non si limiti all’ascolto, ma varchi la soglia e non si annulli in periferia. A Franz Ficara pittore io augurerei una mostra ordinata con opere nude, senza baluardo d’investitura né cornice, e un pubblico attivo che si tuffasse nei suoi mari di blu dipinto d’azzurro, e i “colletti bianchi” intenti a parlare, polemizzare e persino venire alle mani coi suoi personaggi crudi, tagliati a spatola nella verità della terra. E se qualche signora belletti e profumi, scandalizzata nel più acuto perbenismo, osservando con disapprovazione affettata la naturalezza indigena di un nudo femminile di Ficara. Per accendere il dibattito, per vivere nel senso del quadro, che non è isolata casualità ma coerenza di una vita, professione e certezza. Per accusare, negare, dubitare. Ben vengano tesi ed antitesi, manifesti e proteste, ovazioni e diniego. Ma non ci si fermi alla superficie della tela. Là dove i critici spesso annotano “il sapiente contrasto di rossi e gialli e blu e verdi”. Non si abdichi all’intelligenza di approfondire per frenarsi al pregiudizio, alla limitatezza di un rapporto colore, oppure alla consueta guida dell’intenditore di turno. Ecco, l’invito è fatto. E se ho offeso il comune senso dell’educazione, non perdonatemi ma dirigete le vostre ingiurie su di me. Franz Ficara no ha bisogno d’essere presentato. È noto e affermato nonostante miti, leggende e animosità di amici vari. L’introduzione ad una mostra, poi, anziché virtuosismo plateale e narcisista, deve proprio essere provocazione e miccia per accendere i fuochi del dibattito e determinare un varo che sia spumeggiante in tutti i sensi.

Ed ora Vi auguro che la stretta di mano di Ficara sia non solo calda come il colore del suo dipinto ma ospitale come il suo sorriso quando si sente attorniato da amici e non ancora tradito.

Milano, Febbraio 1987

Claudio Rizzi

INAUGURAZIONE

MERCOLEDI 8 APRILE ORE 18,30